Danila Olivieri
1° classificata
Accosto il volto alla tua scorza
Eco di risa spensierate
e pollini di tenerezza
sfuggono al giardino di sole.
Tu fiorisci nella memoria
e rechi pensieri di viole:
sono per me
come le tue ultime parole.
Soavemente sorridi,
mi porgi la mano e mi guidi
nell’incantato silenzio del bosco,
dove nell’azzurro del cielo,
tra le farfalle e l’usignolo,
la filosofia del semplice vivere
m’insegnavi.
…E nell’effluvio dello spigo
e della mimosa,
eri radiosa come luce
tra le foglie,
mentre il vento aleggiava
tra il ciliegio e l’ulivo
e l’agave moriva
donandosi al suo unico fiore…
Mai più tenere dita d’edera
s’arricceranno intorno alle tue dita
di quercia.
Mai più pettinerò con mani
fanciulle,
irrigate da impetuosi ruscelli
di liquida linfa,
il manto lucente dei tuoi capelli,
ravvolto di quiete e forza
infinita.
E io, germoglio della tua essenza
accosto il volto alla tua scorza…
Omar Miccoli
2° classificato
…a Zeshan N.
Pupille abbacinate…
E screpolano
dietro un vetro-quasi un unghia
sul marmo, sulle bocche lucide
dell’asfalto: vapori d’una notte
così lontana da quelle che s’incontrano
sotto gl’architravi di tufo e le ampie
cupole calcinose d’Islamabad.
S’arrampicavano, così, arrendevoli
tiepidi di brina e di spavento
molli larve di corteccia
risalire verso gl’astri e i lunghi minareti
delle moschee che popolano le tue terre
il Pakistan, diceva, ha strappato
l’ultima parola dal suo cuore: e grida alto
sulle alture il nome d’ogni volto, che da sempre
scava covi di miseria più profondi
che le spele d’argilla fra le sue montagne,
i morti seppelliti sotto il fango
nelle pozze fradice della cancrena
o di quelli che partirono ammassando
focomelici silenzi, sotto spaghi gualciti
e stoffe di vesti pellegrine
Ti mozza
il labbro anche un respiro,
uno sforzo di sillabe che un giorno,
forse sapranno amarti…
e più nulla ricorda questo cuore
anch’esso vagabondo, straniero
nella sua nazione, se non
d’un forte gelo quella sera,
dalle torri lamentare il Muezzin
e il vento che di colpo si solleva
dalle buie gole del Palmir.
Antonio Capriotti
3° classificato
Paese nativo
Case aggruppate e torri, vicoli
d’ombra e intorno baratri
di luce, latitudini marine:
paese nativo
e pur effimeri si torna, tratti
come in sortilegio
noi che partimmo affabulati
ora tristi figli
in parabole di prodighi.
Si torna
mutati ai sentieri iniziali
dal tempo, a luoghi e cose
che hanno volti e nomi
di memoria, vene e respiro
di terra, di patria: fuggita
nostra Itaca che chiama-limite
e meta, enigma arenario
di voli e radici.
E un giorno infine
caduti a noi per sempre
i gesti e le parole
approderemo stabili
all’altura, ombre mansuete
lassù dove nacque l’ansia
oggi conversa in dolcezza
di abili ritorni: gli echi
del tempo, i passi e la memoria
senza più suono né ragioni
– dissolti
saliremo nel vento, da ogni dove
a cercare lassù, nel grembo
di mura remote, le nostre libere
strade della Terra.
Umberto Vicaretti
4° classificato
Segretamente i giorni
(A mia madre)
Segretamente i giorni
sfogliano memorie
Madre.
Tenaci risposte nostalgie
sostano alle porte
sgrovigliano ricordi
dissolte riannodano stagioni:
scorrono certezze luminose
cieli splendenti azzurri cieli.
Finito il tempo degl’inganni
e dei fatui arcobaleni
Madre dei sospiri
ora alla notte invano grido
di sogni creditore e di promesse.
Più non m’illude ormai
la malia delle sirene
né più mi confonde
la perfetta geometria del girasole.
Soltanto a questa trepida parete
arreso torno
stremato dalla luce dei tuoi occhi
e dall’inconsumato tuo sorriso.
Madre dei silenzi e delle attese
altre memorie diradano le nebbie
scoprono il bambino che io fui
confusa dolce fibra naufragata
negli abbracci tuoi di seta.
Madre dei rosari e di dolcezze
porto sicuro approdo a un altro Tempo
segui ti prego l’ultima mia rotta
ché spaurito alla deriva
più non si sperda il cuore.
Mi tenderai (lo so) le mani a sciogliere
la tacita promessa del commiato:
consumata la mia fetta di dolore
riconsegnarmi a te per sempre.
Lorenzo Carnevali
5° classificato
Per il suo più fondo sguardo
sui miei giochi, in tanta timidezza
sparpagliato, ho ricreduto d’essere
rapito. Nel suo più fondo sguardo
nell’incavo pulito delle palpebre
sentivo la memoria e la coscienza
del futuro evaporare – e le sue ciglia
soggiogate all’afflizione dell’incanto.
Amore lei si fece qui, rifece
in me più bello amore suo di quanto
la vita promettesse. Con le mani
ricavò la mia figura accanto
allo scorrere degli anni, dei motivi
silenziosi che serena interpretava –
in una Monza sempre più lontana
dalla sinfonia della sua voce.
Madre, il tuo precoce accorrere
ad ogni accenno di richiamo, il fiato
mai cresciuto in me traspira come
io ne fossi inconsapevole, io fossi
l’idea stessa del bene. Tu nel tuo
ruotare gravitandomi d’attorno
in leggerezza accogli il giogo umano
e siderale dell’amore adulto
disadorno.
Michela Torcellan
6° classificata
Astragali
Di fronte al mare falciato dal vento,
in una grigia sera di settembre,
gettava i suoi astragali d’avorio
la rugosa Sibilla millenaria.
Ne buio antro dalle voci sparse
a bisbigliar pronostici funesti,
continuando il suo lavoro eterno
vedeva le onde frangersi sul lido.
Più non scriveva sulle foglie erranti
il bizzarro verdetto del destino,
ma ripeteva di continuo il lancio
di pochi sassi dai graffiti incisi.
L’osservai a lungo, accanto a lei seduta,
annotando il ripetersi dei segni.
Nonna – le chiesi – a che mai ci serve
buttare questi astragali intagliati
se la scelta è già scarsa e limitata
solo a ciò che vi è scritto in precedenza?
Rise e rispose: poche son le scelte
ma ancor di meno ciò che ne risulta.
la vita è breve e non ti lascia avere
che due o tre magre possibilità,
però ti prende sempre più di quanto
con parsimonia ti vorrà donare.
Ma allora – dissi – la nostra libertà
l’amore, l’avventura, l’arte, il sogno,
ciò per cui vivo, dove mai si trova
in questa burla già determinata?
Non disse niente la vegliarda arcana
avvolta dal suo velo misterioso,
solo indicò l’ingresso del suo antro
da dove si scorgeva il cielo e il mare.
Inarrestabile poi riprese il gioco
gettando astragali con adunche dita.
Bianca Festino
7° classificata
E sussurrava il mare
Tagliano il cielo raggi disperati,
graffi di rosso sugli occhi del mondo,
a fatica tra ore accartocciate –
s’apre sconnesso il solco del ricordo.
Ai piedi di rugiada arsi di vento
correva incontro il prato risvegliato,
quando all’alba ci si librava in volo
a gara con i passeri e il frumento.
Dalla ripa scoscesa alla radura
era tutto un rincorrersi di voci
tra centenari olivi e vecchi noci
e sulla pelle la cocente arsura
degli anni che hanno fretta di bruciare
poi… cercavamo il mare!
Bagliori luccicanti alle pupille
quando l’onda s’offriva al nostro abbraccio
tra abissi misteriosi di cristalli
e stelle vive perse sulle rocce.
A gara pescavamo l’ippocampo,
trofeo crudele nelle nostre mani,
erano streghe i ricci e le meduse
con fate dispettose eran confuse.
Ancora lì, levata verso il cielo,
la melodia struggente di sirene
come allora si fa sogno e mistero
spezzando inesorabili catene.
E ancora muore dentro l’acqua il giorno
come quando la sera cantavamo
la scusa per scordarci del ritorno.
Finestre illuminate ad aspettare
e…sussurrava il mare!
Marilena Rimpatriato
8° classificata
Sussurri
Chiome frastagliate
inneggiano al sole il loro sussurro di vento.
Ventagli dorati rastrellano il sottobosco.
Un ragno ordisce la sua tela
tra le pervinche e l’erba freme intrisa di rugiada.
Presto trafitta da spilli di pioggia
arrossirà di gioia la terra
e l’erba sarà imperlata da gocciole algide
che scorreranno in rivoli inquieti tra ciottoli rotolanti.
Cerco le mie radici qui in questa campagna friulana,
arresa alle onde dorate del grano
e le memorie riecheggiano nella mia mente.
Formicai di domande brulicanti
attendono risposte di vento sul domani
e ampolle di utopie frementi mi tormentano
come le speranze sommerse dalla polvere degli anni.
Trovo i miei sogni qui tra le viole,
tra gerbide giunchiglie che annunciano nell’ombra
l’incedere delle stagioni della vita.
Giulia Occorsio
9° classificata
La montagna incantata
Valchiria solitaria,
le tue possenti braccia
circondano la valle d’abbracci silenziosi.
Lungo i tuoi fianchi dai tracciati impervi
pugnali di cristallo feriscono lo sguardo.
Esseri audaci, tentando l’impossibile,
s’appigliano a tuoi puntuti seni di profido azzurrato.
Ma tu, resisti e taci.
Emersa dalle acque come Venere
mille respiri spingi
nel lucido pulviscolo di ceneri esalate.
Massi assonnati sospirano adagiati
su millenari pensieri pacati,
conche di pietra dorate
battute dal sole più antico del mondo.
Al Tuo cospetto l’uomo si fa granello!
Difficile diviene la preghiera
dinanzi alla magnificenza del Tuo trono.
Disarmi il più agguerrito combattente
e l’urlo della sua pochezza cupo zittisce
nelle profonde viscere del tuo prezioso scrigno.
Diadema della terra,
curioso copricapo di nuvole bizzarre,
argine invalicabile di mistero,
fantasma inafferrabile di pietra,
fata caritatevole e nemica ostile
nessuno ti possiede.
Tu non concedi e quando cedi
con riso leggero rimandi a valle
lacrime vanagloriose di smarrita superbia.
Sei la montagna incantata e nel Tuo tempio
l’uomo sosta il tempo di un sogno.
Tu hai il sapore dell’eternità,
noi invece, fragili passeggeri, andiamo via…
Massimiliano Floriani
10° classificato
Ritratto a vent’anni
Distorto e severo, poeta
dalle indiscusse opinioni
dalle molteplici scelte
abbandonate a volte
– nel dubbio aerei dirottati –
ai tuoi sensi
alle tue intime sensazioni,
poeta entro il vetro
d’una finestra socchiusa.
Ragazzo carico di vita
– che bene Pier Paolo ti disegnò –
assoluto bacio d’amante indeciso
lascivo ad ogni perpetuo pulsare.
Per una breve e veritiera scusa
parola dettata dalle stanze interne
distendi la tua forza in un foglio,
assomigli al tempo che tremulo
le scolpisce eterne.
I tuoi vent’anni, quelli sì,
che vicini alle terre della pace
giostrano i membri nascosti
relitti da coscienza e letteratura
s’innamorano del mondo sommerso,
poeta entro il vetro
d’una finestra socchiusa.
Comprendi poche volte
l’audace credere, il sepolto volere
che in noi vive e persuade,
lo comprendi poche volte e
ne fai pensiero mortale.
Distorto e severo, poeta
- molti lo dicono –
fitto di stranezze e capogiri
avvolto da labbra di speranza
da occhi d’impazienza
sei solo ventenne innamorato.
Clelia Brambilla
Premio Speciale della Giuria
Attesa
Sospesa e remota si leva
l’aria limpida del mattino
che intreccia lo sguardo del sole.
È qui che rinasce il mio giorno
e s’accende il mio cuore
nel ventaglio di colori
nel profumo di viole
che sbocciano sul mio balcone
condensato nel sapore di casa.
Amore mio
sei fugace come il tempo:
la tua viva carezza
acquieta l’anima
mi scioglie le vene
che lenisce ferite e attese.
Mi abbandono
nel tuo fremito di ciglia
che fa battere il mio cuore
nell’incanto che espande
un lampo di luce
e la primavera si effonde
alla luna accesa
sospesa tra noi.
SEZIONE POESIA GIOVANI
Giulia Marcolin
1° classificata
I Colpevoli
La nostalgia, come una barca dimenticata dal sonno, trema nell’ombra;
occhi sbarrati – da dietro il buio coperto di tende d’acciaio – si perdono nella distanza che li lega alla finestra.
Nello spazio notturno interrogato dall’attesa, anime cieche vagano
tra i bicchieri colmi di palpebre recise, e cercano – sotto il sale del vino – il fondo alla loro sete verticale.
Le notti sono madri che, nei mari e nelle guerre intestine
del rancore, si vestono con coda e voce di sirene.
I carcerati nutrono il buio con le parole ed i nomi d’immagini orfane,
appese alle finestre nere e vuote – vestite a lutto per l’onomastico degli assenti.
La fredda ombra porta il colore dei loro occhi, e si scalda con un silenzio senza profondità, assopito nelle bocche sanguinanti degli orologi, e nelle invisibili spine
di stelle come chitarre nude, piene di canzoni soffocate,
mentre vegliano il sonno che pettina i ricordi.
La rosa fiorita sull’orlo dei loro occhi – in contatto con lo sguardo e con la materia dell’attesa- rischia di cadere e ferirsi con le sue stesse catene,
che si nascondono nel buio e nella distanza,
forse dimenticate tra le luci dietro la finestra, dove risuona l’eco
di rumori ciechi, e ogni tanto, come un tamburo suonato timidamente,
di passi che percorrono la notte deserta. Bambini e donne addormentate mordono l’ombra coi sorrisi, dalle fotografie dalle crepe dei muri
e dagli angoli colmi di sonori dettagli;
e come ricordi spezzati vagano tra i bicchieri e le carte e le spine
di questa stratta geografia d’acciaio.
È questo lo spago, il legame, il senso,
questi simboli, questi fuochi che si consumano senza altare.
L’umidità è una clessidra che batte
la sua sabbia intestina e sotterranea
contro le palpebre assetate di una notte che continua ad attendere.
Il tempo si sottrae a se stesso. Orologi si formano dietro ai muri
e sopravvivono agli istanti, scardinando le lancette che sono la misteriosa congiunzione
tra passato e passato, (le stagioni della memoria che si susseguono sovrapponendosi).
Ma fotografie e specchi dimenticano senza rancore. I carcerati sono uomini esiliati nel paese
dell’attesa, dove ci sono cuori e cronometri che misurano la vita e la colpa –
il mistero di essere vivi, e di non essere innocenti. Questo è il destino compreso tra le sbarre ed i fogli dove sta scritta la legge troppo umana
della paura.
Marina Mastrangelo
2° classificata
Naufragio della vita
Tu superstite del naufragio della vita,
che guardi dal monte Salvezza
con occhi stracolmi di dolore
la parentesi infinita del mondo
e la profonda ferita dell’anima di questo nuovo secolo
che sopravanza all’alba di una nuova era,
che ascolti con orecchie tremanti
il duro clamore dei secoli
e le oscure grida delle nuove generazioni;
conosci i figli del presente,
spaventati dai loro sentimenti e dall’amore,
conosci i loro sogni spenti dalla gelida paura
e il sonno che seduce i loro occhi.
Loro, inesperti della Vita e giocolieri del Mondo,
cercano di cancellare, annoiati, le parole del Passato
e stracciare i fogli su cui il Tempo ha impresso la Storia.
I loro Ricordi ormai sepolti nella Mente
e morti nel Cuore, arrugginiti e resi spazzatura
dal Presente, restano imprigionati
tra le sbarre infuocate del “prima”.
In questo mondo pieno di stoltezza,
sono molti, tra i figli del presente,
i pensatori, gli idealisti, i poeti,
che vogliono almeno rievocare
dal passato ormai bruciato,
il re di tutti i sentimenti, l’Amore.
Ma quanto sono fragili i loro Sogni
impregnati dalla porpora color Paura!
Di tanto in tanto possiate voi
chiudere gli occhi
e liberarvi sulle ali eterne della Fantasia.
Guido Pedroni
3° classificato
Al mulino
Sui colli cosparsi di nuvole
e alcuni raggi di sole
c‘è ancora un qualche mulino
dei paesi antichi,
e i sassi pesanti dove
nell’oscura alba si dimenava
l’irrequieta farina.
Con le mani unte di grasso
un mugnaio tirava la
sobria catena e libera
la ruota ballava nell’acqua.
Oggi una vecchia raccontava
agli animali della siepe
il sermone della gioventù
guardandosi allo specchio
del cielo, una tortora
fuggiva nel bosco stanca
di giorni accaldati
e un cane infame attendeva
l’usignolo cantaiolo.
Vorrei ricordarmi per sempre
questi colli cosparsi di nuvole
e sentieri nascosti nelle erbe.
Daniela Lefoer
4° classificata
Ritornare
Ritornare
è stringerti di nuovo
nella morsa del mio cuore,
per non piangere al ricordo di un tuo sorriso,
per aver amato ogni tua carezza
che immaginavo ricevere.
Ritornare
è un giorno nuovo,
nostalgico frutto d’assaporare,
sbiadita parola da ricalcare.
Ritornare
per finire tutto ciò che avevo iniziato,
per ricordare ciò che avevo dimenticato,
per cercare me stessa smarrita in una stanza
tra piccolezze
indispensabili e sopravvissute,
per ritrovare
la mia coscienza sul comò,
quel po’ di umiltà nel cassetto,
una foto di Denise;
l’amicizia,
granelli di polvere,
dispersiva;
la musica in uno scrigno,
la fantasia abdicata in una scatola d’orecchini.
Ritornare
per sapere quale bambina ho lasciato
tra bambole e trecce,
per non sentire l’affanno che s’allontana,
per scoprire
che tutto ciò che desideravo
è averti accanto.
Giorgia Serena Cipelli
5° classificata
Elegiaco e struggente
Ora
nel simposio di stelle
e d’acqua di pianto
cade il giorno
e si rompe in mille
diverse briciole
convertite dal cielo
in schegge di silenzi.
Non muta l’anima
né la voce che strugge
delusioni immutabili
schiudendo le mani
in cerca di una sera
dalla fresca carezza.
E sgocciola fiera
la vita dalla pergola
di fiori appassiti
cadendo su un altro
tappeto verde
di nuove parole.
Elegiaco e struggente
codesto mio
paradigmatico pensiero
che si perde come altri
negli atomi tersi
del nulla.
Silvia Angeli
6° classificata
Mi muovo entro i confini
spazio-temporali che dischiudono
le immagini ingiallite
e sorridono della dolce pena
di quello che è stato.
Mi muovo a destra e a sinistra
nel mio vasto presente asciutto,
e sorrido di quello che vedo e di quello che sento
perché sarà il mio passato:
ogni secondo veloce diventa
un immobile trascorrere.
Mi muovo piegata dall’attesa
verso il mio futuro illimitato
e sorrido mentre mi apro all’eventuale
a al possibile,
curvata sotto il peso di una risata che,
fragorosa,
esploderà in ritardo.
Elena Lipari
7° classificata
A mia madre
Una così fragile forza
Negli occhi spenti di viva luce
E quell’aspetto consumato di giovane donna
Nei consigli ingenui e maturi di un’amica
Ed il mondo ti ha voltato le spalle
Tu, punita per una colpa mai commessa
Tra le lacrime accetti il tuo destino
Con la speranza espressa dalla luce dei tuoi occhi
Di veder crescere belle le tue rose
Vorrei darti, regalarti la cosa più preziosa
Ma oh madre!
Il cuore mio già ti appartiene
Affido al vento caldo queste parole
E quando poseranno lievi sul tuo petto
Ascoltale in silenzio,
È la mia voce che le sussurra.
Maria Giovanna Napoletano
8° classificata
A mio padre…
Sembra una reggia
questa casa.
Rido,
ci sono ormai troppi fantasmi…
Scrissi poesia
per dare un corpo
all’eco di quell’onda
che porta quelle voci
e le rimangia.
E non ricordo più…
Mi ribello ai pensieri degli altri
- che non cercano più il tuo sguardo
Mi ribello a quella compassione,
si dice,
ma è gente che non sa che dire…
E quindi io
Qui
con questo foglio
che grida il mio dolore,
mi alzo
precipitando nell’abisso di una illusione
che ancora mi fa sperare
di trovarti seduto
Lì
su quella poltrona rossa,
nel giardino dei miei ricordi…
Ketty Amadio
9° classificata
Frutti Amari
Nel crepuscolo si scorge odor di frutta,
maturata dopo i fiori,
dell’amara primavera.
quei frutti del dolore
hanno un aspro sapore di passato,
di un fiore mai sbocciato,
ma,
ucciso dal vento,
dal tormento mai cessato,
dentro il corpo inanimato…
La morte sovrasta la vita,
come la notte nasconde il giorno,
come il tormento fa ritorno,
dopo il finire della pioggia,
non lasciando scorger
mai
l’atteso arcobaleno…
E mentre il corpo muore,
il sole non può rischiarare
il buio nella mente,
dopo una lotta vana
con l’ignoto finire
che l’uomo non può capire
e
non può fermare…
Paolo Comella
10° classificato
Solo
Solo,
posto a disturbar la percezione
di un’alternativa dimensione,
stavi,
in piedi fra i due immobili specchi
ad osservar di quanto invecchi.
Solo,
verticale, nel tuo silenzio perso,
scrutando ostinato il vetro terso
rimani,
perso nella monotona immagine
di spazio assurdo a mille pagine,
per sempre.